Luca Calzolari

Il Gallo Maurice

«Gallo cristallo, gallina cristallina, oca contessa, anatra badessa…». Nelle fiabe italiane di Italo Calvino non potevano certo mancare gli animali delle fattorie. Gli animali, nelle zone rurali, hanno sempre rappresentato un’anima viva, un valore, del paesaggio culturale. Ne incarnano il colore e il calore, diventando espressione di suoni e odori che io continuo a chiamare per ciò che sono: odori e suoni del paesaggio sensoriale della ruralità. Altri, al contrario, si riferiscono a questo straordinario universo vitale con tutt’altri appellativi. L’odore diventa “puzzo” e il suono si trasforma in rumore. Erano forse orecchie urbane o metropolitane quelle che nella campagna francese sono state disturbate dal canto di Maurice. Vi domanderete chi sia mai questo Maurice. Ve lo dico subito. È un gallo che due estati fa ha subito un processo perché il suo canto mattutino disturbava i vicini. Ed ecco com’è andata a finire: il tribunale di Rochefort, cantone che sorge sulla costa francese occidentale, ha respinto le accuse sull’ipotetico inquinamento acustico e condannato i vicini a pagare mille euro. Quindi giustizia è fatta, penserete voi. Ma la vicenda, che sembra solo una piccola e trascurabile diatriba, ha in realtà altri profondi risvolti culturali. Il tribunale, infatti, ha ben compreso la portata della questione. In gioco non c’era solo il diritto di Maurice a cantare, ma quello di tutto il comprensorio agrario francese, che non a caso è il più esteso d’Europa. Dalla sentenza sul caso Maurice al gennaio 2021 è trascorso all’incirca un anno e mezzo. Un tempo attraversato dalla pandemia e dalla “fuga” di molti cittadini francesi verso la campagna (e le montagne). Una scelta – spesso criticata dagli abitanti delle zone rurali – compiuta per la propria salvaguardia, a tutela della salute. Certo, perché allontanandosi dai centri urbani si riducono i contagi e aumenta la salubrità dell’aria. Ma se si sceglie di abitare in comprensori rurali – così come accade in Italia a chi decide di lasciare le città a favore di valli e montagne – occorre saper convivere con la cultura del territorio. È necessario imparare ad accettare anche gli odori e i suoni che sono propri della vita di quei luoghi. E così, per tutelare il patrimonio sensoriale delle aree rurali evitando altre inutili denunce (proprio com’è accaduto a Maurice) la Francia ha pensato bene di promuovere una legge in difesa degli odori e dei suoni. Sarà poi interessante conoscere quali elementi, oltre al canto del gallo, saranno inseriti nel patrimonio sensoriale delle aree rurali francesi. Credo giusto un plauso sentito e condiviso a una decisione così sensata. Mi chiedo, tuttavia, perché è stato necessario tutelare con una legge il patrimonio sensoriale rurale. È solo per regolare le dispute legali? C’è qualcos’altro? La Francia, ci spiega Annibale Salsa, antropologo e past presidente del Cai, «ancora oggi è un paese profondamente rurale, in cui la ruralità è un settore primario e questa legge non fa che riaffermarla». Dietro a tutto ciò si intravede la dimensione culturale nella dialettica tra modello culturale urbano e rurale. «È una questione di percezione del territorio. Il paesaggio sensoriale è uno dei valori della ruralità, se l’odore del letame viene percepito come puzza, il filtro è quello della cultura urbana. Quindi se non si riesce ad attuare una conversione percettiva, si tenta di utilizzare senza mediazioni un modello urbanocentrico». Anche nelle nostre montagne, connessa alla pandemia, stiamo assistendo a una nuova piccola migrazione dalle città verso le valli. La spinta a riabitare le zone rurali e le montagne è un fenomeno positivo, ma se i numeri diventeranno importanti sarà necessario confrontarsi con l’introduzione di elementi culturali urbanocentrici. Nel nostro Paese, a differenza della Francia, continua Salsa, «non c’è più percezione del ruolo del settore primario della ruralità. La questione da noi è ancora prepolitica, pregiuridica, è tutta culturale. E quindi esiste il rischio di innesto di modelli urbanocentrici nei territori rurali e per questo bisogna insistere sulla montanità, che è un concetto ad amplissimo spettro che implica la dimensione psico-socio-culturale. Sottolineo inoltre che i problemi vanno relativizzati e non possono essere affrontati in chiave assolutistica». La posta in gioco è alta, ma se vogliamo che la montagna torni a essere abitata dobbiamo far dialogare i modelli senza posizioni aprioristiche, e fare della montanità il perno su cui basare il confronto e il salto culturale.  


Peak & Tip, Montagne360 marzo 2021

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