Luca Calzolari

La dimensione dei numeri

Poche settimane fa, sfogliando il settimanale Internazionale, mi sono soffermato sul titolo di copertina: “Il dilemma del turista”. La domanda che motiva il titolo è questa: “nell’era del turismo di massa ha ancora senso viaggiare?”. Un tema interessante, che mi ha riportato a quello del turismo in montagna. Mi sono letto il focus proposto dal settimanale. La lettura del racconto di Stephan Sanders, giornalista e scrittore olandese, riportato da Internazionale, è per certi versi illuminante. In quelle pagine di cronaca narrata ho trovato le conferme della decadenza del turismo moderno. Resta poco dei grand tour seicenteschi e dei primi viaggi organizzati (un secolo e mezzo fa). Sanders, che scrive dei voli low-cost, di bagni luridi, di hostess mal pagate costrette a comprarsi il panino e di Airbnb mascherati, ricorda quando a metà dell’Ottocento l’alpinismo era «in gran voga» e la «vetta irraggiungibile» era «il simbolo del sublime». Sander cita inoltre la scienziata olandese Louise Fresco, che in un articolo intitolato “Turista, resta a casa” sostiene che «il turismo è un settore che non possiamo far crescere senza regolamentazione». Oltre al racconto di Sander, Internazionale riporta anche l’opinione di Elizabeth Becker, che in un articolo scritto per The Guardian afferma che bisogna smettere di puntare sul turismo di massa e cercare alternative sostenibili. Il turismo di massa che ha invaso città d’arte e capitali europee si è spinto talmente oltre i propri limiti da innescare reazioni di rigetto da parte degli abitanti di numerose località turistiche. Questa lettura mi fa riflettere ancora una volta sulla questione dei numeri, soprattutto in relazione a una certa idea di sviluppo turistico. Credo che la montagna, nella sua strategia turistica, debba fare del dimensionamento quantitativo un elemento caratterizzante. A mio modo di vedere, sostenibilità significa anche dare un limite al numero di turisti che le Terre alte possono sostenere. Montagna e turismo di massa tout-court non vanno d’accordo. Non sto affatto asserendo che bisogna puntare esclusivamente a flussi bassi, perché questa assenza di aspettativa potrebbe trasformarsi nella penuria di risorse per chi in questi luoghi abita e lavora, con il rischio di abbandono delle Terre alte. Oltre all’escursionismo, all’alpinismo e alle attività all’aria aperta tra i gran- di elementi di attrattività turistica delle Terre alte ci sono anche la tranquillità (che non ha niente a che vedere con l’idea di “noia”), le produzioni agro-alimentari, la buona cucina, elementi questi ultimi che è possibile offrire senza barare in ogni località solo se si mantiene la giusta ‘densità’ di turisti. E i flussi maggiori vanno indirizzati verso le località che possono accoglierli o che necessitano di maggiori presenze. Su queste pagine, da un’altra angolatura, ho già in parte trattato questo tema (“Alpentraum, dall’incubo al sogno”, su Montagne360 dell’ottobre 2017). Una delle conseguenze più evidenti del turismo di massa, scrivono gli esperti, è di essere quasi sempre “scellerato” perché non rispetta né l’ambiente né la storia. Il viaggio rischia di trasformarsi in una com- petizione e il fenomeno del turismo di massa non è altro che il perimetro indefinito del campo da gioco, spesso alimentato anche da una certa dialettica televisiva. Oggi vi è una riscoperta della montagna come oggetto di narrazione. Non sempre, però, il protagonismo mediatico giova alla montagna (nel dirlo confesso di provare un po’ di nostalgia per la mancanza di “Tgr Montagne”, che su Raidue le ha raccontate con competenza). A volte, nel racconto delle Terre alte, c’è il sensazionalismo, altre volte l’approssimazione. Oggi vi è una riscoperta della montagna come meta turistica, cosa che in sé è positiva; ma se vogliamo che duri nel tempo, va evitata la tentazione, sospinta anche da questo momento di ‘moda’ delle Terre alte, di pianificare e investire risorse nella direzione del modello del turismo di massa. Né bisogna investire nel suo opposto, ovvero il turismo elitario. Piuttosto è necessario pianificare un turismo che sia sostenibile anche nei numeri, cioè che non stravolga la capacità di accoglienza della montagna. Se non sarà così, rischieremo seriamente di creare un gran danno all’ambiente e, nel tempo, anche all’economia.  

Peak & Tip, Montagne360 marzo 2018

Exit mobile version