Luca Calzolari

L’invasione dei maleducati

Sembriamo anestetizzati e impermeabili alla maleducazione. Quasi incapaci di reagire e, men che meno, di educare. Come se fosse ormai tardi, come se niente restasse da fare per arginare un fenomeno ormai troppo diffuso per essere davvero contenuto. Però sbagliamo. Sbagliamo a pensare che l’automobilista iroso che sbraita e strombazza al volante sia un’eccezione da ignorare. Sbagliamo a pensare che gettare a terra un mozzicone di sigaretta o una bottiglia di plastica sia un comportamento di pochi. La maleducazione è nei piccoli gesti come in quelli più grandi. E non c’è azione che, pur restando impunita, possa restare confinata nello spazio in cui si consuma il gesto maldestro senza che ci siano conseguenze. Per l’ambiente, certo. Ma incidono inevitabilmente anche sullo sgretolamento delle relazioni umane e sulla salute, alimentando lo sviluppo di una società ancor più rancorosa. Ho sempre pensato che tali comportamenti – che, sia ben inteso, nulla hanno a che fare col galateo – fossero più frequenti in ambienti urbani. Il lavoro, lo stress, la competitività esasperata, l’iper-connettività, l’infelicità, le lancette dell’orologio che scorrono troppo veloci per una giornata standard fitta d’impegni, commissioni e cose da fare. Mi sono sempre sforzato di trovare spiegazioni (e non alibi) a certi atteggiamenti tristemente diffusi. E ogni volta mi consolavo pensando all’esistenza di zone franche. Spazi di tutti – ma non per tutti – in cui i principi etici della convivenza col prossimo e con la natura sono un patrimonio condiviso e rispettato. Sì, pensavo alle montagne. Luoghi rispettabili e rispettati per quell’indiscussa sacralità laica che li avvolge. Ho sempre pensato agli escursionisti che si salutano cordialmente e si scambiano informazioni e consigli, senza risparmiare qualche benevola battuta. Agli alpinisti che si raccontano la giornata trascorsa o il progetto del giorno dopo, prodighi di informazioni e consigli reciproci sull’avvicinamento e sulla via. Ho pensato a chi rispetta l’ambiente senza lasciar traccia del suo passaggio. A chi vive in modo sostenibile e con rispetto i parchi, i monti e quegli straordinari spazi di condivisione e accoglienza che sono i rifugi. Ho pensato a chi rispetta i gestori, i professionisti che in montagna (e di montagna) vivono, gli abitanti di borghi o paesi che si attraversano durante le escursioni. Ho sempre pensato ai frequentatori della montagna come ad ambasciatori di civiltà. Un’idea, questa, che in fondo (un po’ romanticamente) il tempo non aveva mai scalfito. Eppure qualcosa è cambiato. Leggendo certe cronache estive ho avuto la sensazione che la cultura imperante dell’uomo (e donna) iracondo e menefreghista, stia raggiungendo anche le Terre alte che sino a ora ne erano in parte state risparmiate, con tutto quello che ne può conseguire. Bene ha fatto Jean Marc Peillex a reagire. Lui che è sindaco di Saint-Gervais, comune francese dell’Alta Savoia che conta poco meno di seimila abitanti, ha sbottato dopo aver raccolto per l’ennesima volta una lunga lista di fatti e fattacci che hanno come naturale scenografia il Monte Bianco. Dal suo paese si arriva al rifugio Gouter, da lì passa la ferrovia a cremagliera che sale fino ai bordi del ghiacciaio di Bionassay. Cosa denuncia Peillex? La maleducazione che porta irresponsabilità e che sfocia poi nella violenza. Proprio così: violenza. Come quei pugni che hanno raggiunto la guida alpina colpevole di invocare rispetto per quelle terre. Ma non solo, perché c’è chi ha preteso di raggiungere la vetta con un cane e chi invece voleva fare la scalata con i figli piccoli. C’è chi ha rubato gli scarponi ad altri escursionisti, che ormai scalzi sono stati costretti a scendere con l’elicottero. E c’è chi invece l’elicottero del soccorso lo voleva chiamare come fosse un taxi per essere riaccompagnato a valle dopo la salita. Colpa del freddo ai piedi e della stanchezza, ha detto. Tutto qui? Nient’affatto. Il sindaco parla di rifugi “privatizzati”, di escursionisti accampati sotto ponti di neve, di risse in cordata e di ascese effettuate con attrezzatura decisamente inadeguate (e rischiosissime). Ho ancora di fronte a me l’immagine dei turisti in sneakers e bermuda sul ghiacciaio del Breithorn, nel massiccio del Monte Rosa. D’accordo, questi saranno solo casi isolati. O almeno così spero. Ma un certo tipo di comportamento rischia davvero di disumanizzarci, inquinando quei valori che da sempre appartengono alla montagna e ai suoi frequentatori: gentilezza, educazione, rispetto e solidarietà. Quindi non rinunciamo all’etica. Facciamoci rispettare, continuando a far rispettare la montagna. 


Peak & Tip, Montagne360 ottobre 2018

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