Escursionista? «Sì». In montagna perché? «In montagna perché si esplora. E più si esplora, più si impara». Quanti anni hai?. «Quasi nove!». E un altro ancora. Escursionista? «Sì». In montagna perché? «In montagna perché ci si diverte e ci si prende qualche rischio». Quanti anni hai?. «Otto!». Bruno e Paride sono due dei 28 ragazzi e ragazze di età compresa tra i 6 e 13 anni che hanno partecipato alla settimana dell’alpinismo giovanile della mia Sezione Cai. Eravamo in Val Campelle, in Trentino. Alcuni li conosco da qualche anno, altri partecipavano per la prima volta. Una ragazza più grande mi ha detto che «in montagna perché siamo un po’ liberi dal cellulare, cioè non dobbiamo guardarlo ogni momento per stare con gli altri». Per molti di loro la montagna è un modo per stare con gli amici, da soli. E ancora in montagna si vede la natura, si incontrano gli animali, si sente il vento, si vedono tane (il più piccolo giura di averne contate centomila) e i fiori (c’era anche un botanico in erba). Un’altra mi ha detto che da grande vuole diventare volontaria del soccorso alpino. E poi, sì, praticamente per tutti camminare è anche uno svago. «Perché si fanno le camminate, anche lunghe. E ci si diverte». Mi sono inventato questa specie di gioco con il format da intervista seria e ho posto a tutti la stessa domanda per ascoltare le risposte. Volevo farmi un’idea di come quei ragazzi con cui stavo passando una settimana vivono la montagna. Nessuna pretesa scientifica, per carità. Solo voglia di ascoltare. E così ogni giorno qualcuno mi ha chiesto di partecipare a questa specie di tormentone. Molte risate per le false partenze, le facce buffe e le intromissioni “in scena” degli amici. Certo, direte voi, sono risposte facili da immaginare. Sicuramente. Ma i bambini giocano seriamente. E di solito non hanno interesse a barare. Dicevo prima che una ragazza ha fatto accenno al cellulare, ovvero al mondo connesso. Inutile fare finta di nulla: per i nativi digitali la rete non è una realtà virtuale. È parte della loro (siamo one- sti, ormai anche della nostra) realtà effettuale e gli smartphone sono uno strumento di relazione quotidiana. Il punto è come far comprendere la differenza tra il vantaggio indubbio e la dipendenza. Tra l’uso e l’abuso. E che l’abuso è fonte di rischio. Beh, quella settimana mi ha riservato anche un’altra sorpresa. Stavo leggendo uno dei vari libri che trattano dei rischi per i ragazzi connessi all’uso dei social (e, of course, sui rischi della rete in generale). I ragazzi con cui condividevo la camera hanno visto il libro e si sono incuriositi. Da lì in poi ogni sera, prima di dormire, abbiamo parlato del contenuto del libro. Mi hanno chiesto di leggere la parti di cui avevamo parlato. Ciascuno di loro ha poi raccontato la propria esperienza con le app di giochi. Uno dei più grandi ha raccontato di una piccola trappola mangia-soldi in cui è caduto e la sua testimonianza ha suscitato un sacco di domande. La mia linea è stata affermare che non bisogna avere paura del mondo che evolve e quando arriva l’età giusta (che decido- no i genitori) si possono usare gli smartphone e internet, perché se usati bene sono ottimi strumenti. Però, come in montagna, bisogna conoscere i rischi, saper riconoscere le possibili trappole e, quando si ha un dubbio, bisogna parlarne subito con i genitori. Alla terza sera uno di bambini mi ha detto: perché non consigli questo libro ai nostri genitori? Mi è sembrato un bello stimolo, così ho pensato di seguirlo. Ne ho parlato anche con altri ragazzi e ragazze durante le camminate e le pause. E poi ho scritto ai genitori (naturalmente sulla chat dei partecipanti alla settimana) anche per condividere una riflessione sul fatto che probabilmente i nostri figli sono interessati a imparare come difendersi più di quanto siamo portati a credere. Ma torniamo alla montagna. Da quello che ho capito, per questi ragazzi la montagna è una parte del bello: il bello della natura, il bello di dormire con gli amici nella stessa camera, il bello di divertirsi, il bello di vivere un’esperienza fuori di casa. Anche il bello di trasgredire. Eh sì, perché anche in queste occasioni la necessità di trasgredire, in particolare dei più grandicelli, non manca. Trasgredire fa parte della crescita. E allora la montagna diventa anche un luogo e un’esperienza in cui si fanno i conti con il limite, con il patto tra ragazzi e accompagnatori sui pochi ma invalicabili limiti. Insomma, è il bello di crescere. Una bellezza, quella della vitalità creativa di questi ragazzi, che mi ha aiutato a imparare cose nuove. Perché più si esplora (prendendoci qualche rischio), più si impara a essere liberi e pensanti. Tutto questo li aiuterà a diventare persone, credo (e spero) migliori di noi.
Peak & Tip, Montagne360 agosto 2018