Occorre trovare un punto di equilibrio. Quando parliamo dei piccoli paesi, soprattutto quelli montani, sono ancora troppi gli sbilanciamenti culturali e mediatici che spingono l’ago della discussione da un estremo all’altro. Come fosse un continuo tiro alla fune senza vincitori né vinti. C’è chi sostiene la necessità di valorizzare la bellezza storica, artistica e paesaggistica di certi borghi senza però affrontare prima le cause dello spopolamento. Poi c’è chi pensa di rispondere ai bisogni dei pochi sopravvissuti con servizi che non tengono sufficientemente conto delle reali condizioni di chi, nonostante tutto, continua a vivere in questi luoghi ormai semi abbandonati. È quindi necessario invertire il paradigma iniziando a valutare la questione sotto ogni aspetto, senza trascurare cause, conseguenze e implicazioni. Non solo quelle ambientali e paesaggistiche, ma anche e soprattutto quelle economiche e relazionali. Tutto questo affinché non si verifichi anche in Italia ciò che invece sta accadendo in Spagna, dov’è in corso una vera e propria rivolta. Il mese scorso decine di migliaia di persone sono scese in piazza, a Madrid, per protestare contro la mancanza di infrastrutture delle zone rurali che sono a loro dire la principale causa di spopolamento. È stata definita la “revuelta de la España vaciada”, ovvero la “ribellione della Spagna svuotata”. Ma la Spagna, si sa, non è l’Italia. Nel confronto tra penisole, quella iberica è decisamente più estesa. Ed è quindi più facile individuare aree in cui la densità della popolazione è perfino inferiore a quella della Siberia, come accade nella provincia nord-occidentale di Guadalajara. Secondo il Ceddar, il Centro spagnolo di ricerca sullo spopolamento e lo sviluppo delle aree rurali, più della metà del territorio (53%) è abitato solo dal 5% della popolazione. A causare tutto questo sono la depressione economica, il digital divide e l’assenza d’infrastrutture e servizi pubblici. Temi che, seppur con le necessarie e dovute differenze, sono presenti anche nelle zone rurali d’Italia. C’è chi prova a offrire una risposta con il finanziamento e la promozione di progetti dedicati, come ad esempio sta accadendo con le farmacie rurali. Grazie al Sunifar (Sindacato unitario dei farmacisti rurali), Cittadinanzattiva e Uncem (Unione nazionale dei comuni, comunità ed enti montani) nelle aree interne sono stati organizzati servizi calibrati sulle esigenze dei pochi abitanti rimasti nell’ambito della prevenzione, del front-office, della diagnostica e della tele-assistenza. Non restano escluse l’assistenza domiciliare e gli interventi di emergenza-urgenza. Tutto utilissimo, non c’è che dire. Ma guardando oltre scopriremmo che il progetto non nasce solo per facilitare l’accesso a certi servizi essenziali (come lo sono ad esempio quelli sanitari). Nelle piccole comunità montane, chi eroga il servizio costruisce con gli abitanti una relazione di fiducia e reciprocità, stabilendo un empatico legame affettivo. Qua non si tratta solo di facilitare il pagamento del ticket o il ritiro di un referto medico. Grazie alle farmacie rurali, gli abitanti delle aree interne, ormai sempre più spopolate, si sentiranno meno soli. I servizi offerti dalle farmacie rurali rappresentano prima di tutto un presidio sociale, così come certi postini di montagna che, dove presenti, nel consegnare il giornale o la raccomandata possono sincerarsi dello stato di salute del destinatario. Un presidio che nei piccoli borghi e sulle isole è quanto mai prezioso. Ovviamente questo è solo un aspetto del concetto esteso del prendersi cura (un tema che affrontiamo in modo verticale proprio nello speciale di questo numero di Montagne360). A volte, per risolvere certe situazioni, è sufficiente un po’ di buonsenso. Un esempio? Nei paesi montani più periferici di certi territori, per rinnovare un documento dovrebbe essere possibile delegare la funzione al Comune più vicino e non ad relegarla ad esclusivo appannaggio di quello d’appartenenza. Sono piccole cose, certo. Ma solo chi vive nelle aree interne può capire quanto un piccolissimo segnale di apertura possa incidere sulla quotidianità. Ovviamente c’è chi lotta e continua a combattere. Non in piazza, come a Madrid, ma all’interno della sua comunità. C’è chi ha trasformato la proprietà che fu dei suoi antenati in agriturismo e chi invece ha deciso di restituire nuova vita alla vecchia azienda agricola. E poi c’è chi, come fanno le sempre più diffuse cooperative di comunità, ha pensato bene di riattivare le economie di montagna coinvolgendo l’intero paese. Alcune amministrazioni, come la Regione Toscana, hanno capito prima di altre il valore di queste esperienze finanziando nuove idee. In Toscana, solo con l’ultimo bando, sono stati erogati 1,2 milioni per venticinque progetti. Sarà solo un piccolo passo, ma almeno si tratta di un passo avanti.
Sarà solo un piccolo passo, ma almeno si tratta di un passo in avanti.
Peak & Tip, Montagne360 maggio 2019