Non tornerà com’era e niente sarà più come prima. No, non si tratta di una sciarada. Non c’è nessun enigma che si nasconde dietro quest’affermazione che, almeno nelle mie intenzioni, è riferita al mondo. Il nostro “mondo”. Quello che abbiamo conosciuto studiando la storia, quello che abbiamo imparato a vivere, quello che stiamo distruggendo per un futuro ormai prossimo e alquanto minaccioso. La previsione di tale amarezza non ha origine da personali valutazioni catastrofiste, bensì dalle proiezioni di scienziati che da anni si sforzano di far capire che sul nostro pianeta la sirena d’allarme ha iniziato a suonare parecchio tempo fa. E da quello che nel mondo sta accadendo. Nel 2019 il prezzo che l’umanità ha pagato alla crisi climatica è di 4.578 morti e 140 miliardi di dollari di danni. A fare il calcolo delle conseguenze dei fenomeni di maltempo estremi sono stati Katherine Kramer e Joe Ware. In un rapporto pubblicato il 27 dicembre 2109 dalla ong britannica Christian Aid, Karmer e Ware ripercorrono mese per mese i grandi cataclismi che si sono abbattuti l’anno scorso sul nostro pianeta. Troviamo le grandi alluvioni e inondazioni in Argentina, Uruguay e Australia di inizio anno, fino agli incendi che hanno colpito la California a novembre. Mancano nella conta le vittime e i danni causati dagli ultimi grandi incendi in Australia. E non sappiamo quali siano i danni alle specie animali. Questa è la fotografia globale. Dallo sguardo sull’intero pianeta zoomiamo sulle montagne, che ancora una volta raccontano senza mezzi termini l’emergenza climatica. Gli indicatori sono evidenti. Inquietante e esplicito è il video girato da un drone sugli Appennini, pubblicato sul sito di la Repubblica a inizio gennaio. Le immagini, tra le altre cose, mostrano il Monte Cimone coi colori della primavera. Tonalità surreali di verde e marrone. Non è un caso che la neve scarseggi o sia del tutto assente sulle cime e che baite, chalet e rifugi siano sempre meno frequentati. Il clima è già cambiato. E a farne le spese non è solo l’ambiente, ma anche la salute umana e tutto il sistema sociale ed economico (a cominciare dal turismo, giusto per fare un esempio). E se la neve non cade i ghiacciai stanno peggio. Una ricerca pubblicata ad aprile 2019 sulla rivista European Geosciences Union (EGU) The Cryosphere, mostra come in uno scenario di riscaldamento limitato, i ghiacciai perderebbero circa i due terzi del loro attuale volume di ghiaccio, mentre sotto un forte riscaldamento le Alpi sarebbero per lo più senza ghiaccio entro il 2100. La rivista Nature ha pubblicato una lettera – appello firmata da 38 scienziati di tutto il mondo, tra cui compare anche il nome dell’italiano Carlo Baroni, geologo dell’Università di Pisa. Obiettivo: salvare appunto i ghiacciai, il cui tasso di fusione, secondo Baroni, «è senza precedenti». Il geologo spiega come «moltissime catene montuose perderanno la maggior parte dei loro ghiacciai entro questo secolo». Conseguenze? Il mare si è già alzato di 3 centimetri, e il livello crescerà ancora restituendoci l’immagine di un mondo che, come detto, non siamo neppure in grado d’immaginare. A proposito di atti concreti: quella lettera riprende in parte anche la “Carta dell’Adamello” sottoscritta da molte università italiane, dal Club alpino italiano e dal Comitato glaciologico italiano. Di questo tema e di quello che sembra il triste destino del ghiacciaio della Marmolada parliamo anche nelle prossime pagine. Ma non è finita qui, perché secondo l’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc), chi vive in montagna sarà sempre più esposto ai rischi e alla disponibilità (o indisponibilità) d’acqua. Concetti che trovano conferme anche nelle eccezionali (perché “rare”, non perché “meravigliose”) scoperte del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), che ha dimostrato come la temperatura della roccia sotterranea stia aumentando rapidamente tanto da far “scomparire” il permafrost, ovvero quello strato perennemente ghiacciato che, oltre a garantire riserve sotterranea d’acqua, assicura equilibrio alle pareti. Dobbiamo cominciare a prepararci a vivere in questo “mondo nuovo” che è alle porte adattandoci ai cambiamenti violenti e repentini. Costa fatica, certo, ma noi che andiamo in montagna sappiamo bene quanto la fatica sappia ricompensare l’impegno per le grandi sfide.
Peak & Tip, Montagne360 febbraio 2020