
Quaranta, cinquanta, sessanta, settanta, ottanta… novanta. No, non stiamo contando sino a cento a occhi chiusi come facevamo da bambini nella tana del nascondino per poi aprirli e lanciarci a scoprire i luoghi segreti scelti dai nostri amici. Sono le percentuali di disdette delle prenotazioni nelle strutture ricettive di Alpi e Appennino. O, per dirla in altro modo, sono numeri dell’impatto stimato del Covid-19 sul turismo in montagna. E stavolta non possiamo nemmeno gridare “Tana libera tutti” per liberarci da questo brutto sogno. Queste percentuali non si riferiscono solo alla stagione turistica invernale, perché le disdette arrivate dopo lo scoppio del Covid-19 riguardano anche quella estiva. Senza considerare che a tutto questo si aggiunge la cancellazione di attività di tipo congressuale, sportivo e culturale. Asat, l’associazione albergatori del Trentino, stima che nei mesi di marzo e aprile il rendiconto del calo delle presenze sarà di oltre un milione, pari a circa il 60% in meno rispetto al 2019. Il danno economico? Circa 140 milioni di euro. Nella montagna friulana non va meglio: nei primi dieci giorni la rinuncia alla vacanza nelle Terre alte ha raggiunto l’80%. Walter De Cassan, presidente Federalberghi Belluno, ci fa sapere che «non abbiamo dati precisi», ma una «stima» per capire, giorno per giorno, come sta andando. «Il prosieguo della stagione è critico: circa una decina di strutture hanno chiuso con un mese di anticipo rispetto alla pausa invernale. Per l’apertura della stagione primavera-estate, da aprile in poi, bisogna aspettare. È ancora presto per fare previsioni. Soffriamo il fatto di essere al confine tra le province di Trento e Bolzano, che rispetto a noi non hanno subito nessuna restrizione di accesso. Temiamo il rischio di travaso verso queste due province. Principalmente le disdette sono arrivate da parte di stranieri, in particolare da cechi e polacchi, perché al rientro dovrebbero fare la quarantena. Marzo è l’ultimo mese per la stagione sciistica e temiamo che questa situazione si possa protrarre fino a Pasqua». Filippo Gérard, presidente di Federalberghi Val d’Aosta, stima percentuali in linea con quelle del resto delle Alpi. Stesso trend anche sull’Appennino: nel modenese si registra un meno 70%, nel reggiano le disdette da parte di singoli sono attorno al 40%, mentre quelle dei gruppi organizzati toccano il 90%. Secondo Federalberghi Calabria, infine, ci sarà un dimezzamento delle presenze per la stagione estiva in Sila. C’è però un altro dato che accomuna tutti: la maggior parte delle cancellazioni arrivano da tour operator stranieri che non solo temono il contagio, ma anche la prospettiva di quarantena una volta fatto ritorno a casa. Sia chiaro, si tratta di stime basate su una raccolta empirica di dati dagli operatori e dalle associazioni che li rappresentano. I numeri precisi si conosceranno a bocce ferme. Quando? Impossibile prevederlo. Intanto questa è una prima polaroid che abbiamo voluto scattare contattando alcuni operatori della montagna a circa due settimane dallo scoppio dell’epidemia da coronavirus. Sappiamo che la dimensione dell’impatto economico sarà globale e che riguarderà tutti i settori produttivi. Sappiamo che il nostro Paese, complice l’economia globalizzata, dovrà confrontarsi con una situazione praticamente senza precedenti. Secondo alcuni il Covid-19 non è un “cigno nero”. Tra questi c’è l’economista Nassim Nicholas Taleb, proprio colui che ha teorizzato e definito così i fenomeni inattesi di grande portata che sono capaci di cambiare la storia. Intervistato da la Repubblica, il filosofo ritiene manchi la connotazione essenziale dell’imprevedibilità. «Da anni la comunità scientifica avvertiva che prima o poi sarebbe scoppiata un’epidemia globale», dice. «Si temette già ai tempi di Ebola, ma non si diffuse perché si era sviluppato in un luogo non troppo collegato col resto del mondo. Ora invece l’epicentro è stato nel Paese interconnesso per antonomasia». Secondo Taleb il coronavirus non è stato determinante per il crollo dei mercati, ma altri economisti la pensano diversamente. Noi non abbiamo competenze sufficienti per suffragare o contrastare l’una o l’altra tesi, tuttavia quello che possiamo dire è che da un punto di vista sanitario l’Italia sta affrontando per la prima volta un’emergenza di questa portata. A tutti noi è richiesta una grande capacità d’adattamento alla situazione, fiducia nel nostro sistema sanitario e nelle scelte politiche attuate per contrastare il virus. Per quanto riguarda l’aspetto economico sappiamo che per il nostro Paese, per assorbire le conseguenze dell’impatto del Covid-19, serviranno misure straordinarie di supporto al tessuto economico-produttivo. Se è vero che l’emorragia è diffusa, a soffrire maggiormente di questa crisi sono le economie più fragili come quelle di montagna. Il nostro compito è fare in modo che la montagna non venga dimenticata dalla politica. Un attimo prima di andare in stampa siamo in piena emergenza sanitaria, una regione e quattordici province sono appena state dichiarate zona rossa e non si sa come la cosa possa evolvere. In questa emergenza dobbiamo fare la nostra parte di cittadini responsabili e non cedere al panico. Ne usciremo tutti insieme e sempre tutti insieme ripartiremo.
Peak & Tip, Montagne360 aprile 2020