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La montagna è bellezza. Un fatto, questo, che trova tutti d’accordo

Ma non è il solo valore intrinseco che le appartiene. Infatti, ben oltre le consuetudini e i luoghi comuni, la montagna è fortemente inclusiva. Anche in questo caso è cerniera e non barriera. Crea nuovi legami e rafforza quelli esistenti; ma soprattutto permette di superare i grandi e piccoli steccati che altrove si costruiscono. Quelli fisici, certo. E anche quelli psicologici e dell’anima. La montagna è dunque una terapia per chi soffre di patologie di vario genere. E la medicina di montagna studia come affrontare le patologie per poter continuare (o iniziare) ad andare in montagna. Non a caso abbiamo dedicato uno speciale a questo tema, che è stato pubblicato sul numero di febbraio di Montagne360. In quell’occasione presentammo esempi di diverse buone pratiche. Abbiamo raccontato (e ricordato) la genesi della montagnaterapia, i primi convegni nazionali, il ruolo centrale assunto dal Cai (che ha sempre creduto in questo percorso, tanto da inserirlo
nel proprio statuto). Eppure, a distanza di anni, come ho sottolineato nel convegno “La montagna senza barriere” al Trento Film Festival – organizzato da Luigi Festi, presidente della Commissione centrale medica del Cai – ci troviamo ancora qua a discuterne. D’accordo, non siamo a un punto fermo. Tutt’altro. Ma nonostante un certo radicamento sul fatto che la montagnaterapia sia terapia e portatrice di benessere – anche oltre l’ambiente degli appassionati di montagna (compresi medici, psicologi, operatori socio sanitari, educatori) – ancora oggi si continua a parlare dei princìpi. Verrebbe da pensare che manchi la concretezza. Ma anche questo non è vero. Come ha ricordato Sandro Carpineta (ex componente della Commissione centrale medica del Cai) intervenendo nello stesso incontro, al Trento Film Festival, le esperienze già esistono. E sono molte. Vanno solo messe a sistema. Un esempio? In quell’occasione Hubert Messner, di professione pediatra, ha parlato dell’efficacia terapeutica di portare i bambini diabetici in montagna. Mentre Franco Perlotto, alpinista e scrittore, ha messo in luce il grande disagio che può provare una guida alpina a fine carriera. Perlotto, che su questo tema ha scritto un racconto che pubblicheremo presto su Montagne360, ha evidenziato la necessità che le guide si confrontino con questo aspetto e anche che la loro associazione potrebbe istituire strumenti di supporto su questo tema. Ecco i punti chiave: per certificare l’utilità della montagna come terapia occorrono i riscontri della scienza (ma i numeri sono ancora troppo esigui per trial clinici e conseguenti raccomandazioni), e la medicina deve essere sufficientemente preparata e riconosciuta per assistere e consigliare chi vuole andare in montagna. «Ci sono persone con problemi cronici, ma non invalidanti, che potenzialmente potrebbero rappresentare un fattore di rischio per qualche patologia a esordio acuto» ha ricordato Guido Giardini, presidente della Società italiana di medicina di montagna. La medicina di montagna è davvero uno strumento per permettere (e non proibire) la frequentazione della montagna. È una medicina consapevole dei fattori di rischio dell’ambiente alpino (dal freddo alla carenza di ossigeno), specializzata ma non eccessivamente medicalizzata e vincolata ai protocolli, capace di adeguarsi con buonsenso alle reali possibilità dell’escursionista e dell’alpinista. Al convegno è emersa inoltre la conferma che sono molte le patologie che trovano giovamento dalla frequentazione della montagna. Una piccola rivoluzione culturale (e scientifica) che passa anche dal decentramento dei medici di montagna. Per raggiungerli non dovrebbe essere necessaria una caccia al tesoro. La medicina di montagna dovrebbe scendere in città, perché è lì che vive la maggior parte dei frequentatori. E forse dovremmo anche far sapere ai medici di base che lavorano in città dell’esistenza di questa specialità. Quello che possiamo – e dobbiamo – fare noi è essere motore propulsivo della medicina di montagna, il cui obiettivo – lo ripeto – non è vietare la montagna, ma permette di frequentarla in relativa sicurezza. Proprio come il Cai.
Peak & Tip, Montagne360 luglio 2017