È difficile immaginare il futuro se non riusciamo a decifrare e contestualizzare il presente. Di fronte ai grandi temi del nostro tempo – ambientali, sanitari, geopolitici e così via – l’atteggiamento più diffuso è quello di accorgersi di quanto sia grave la faccenda solo dopo il verificarsi della conseguenza più evidente e drammatica. E poi spinti dall’onda emotiva a seguito di grandi e catastrofici eventi si tirano fuori tutti i buoni consigli quando non si può più dare il cattivo esempio (mi si perdoni l’indiretta citazione di Fabrizio De André).
Esplode una pandemia? Ecco schiere di virologi improvvisati pronti a condannare o criticare ogni scelta. Poi ecco la siccità, e allora si vestono i panni dei climatologi pronti a dispensare preziosi consigli. O, peggio, a negare il fenomeno generale. «Dovevano avvisarci prima, almeno ci saremmo potuti organizzare…», ha detto qualcuno. Come se non fosse avvenuto, più e più volte. E per tanti è più comodo non ascoltare la comunità scientifica (il progredire della scienza deriva anche dal confronto tra posizioni divergenti) che ci mette in guardia su ciò che sta accadendo perché questo contrasta con interessi o atteggiamenti pre-scientifici.
E così il rispetto per l’ambiente e per il nostro stesso pianeta si risveglia dal letargo della ragione solo quando eventi senza precedenti colpiscono la vita di tutti come un sonoro ceffone. Ci si accorge del pericolo degli incendi quando brucia un’intera montagna, ci si rende conto della crisi climatica quando anche i fiumi con la maggiore portata d’acqua restano a secco. Di fatto ci si scopre attenti, consapevoli e solidali solo (o soprattutto) a disastro avvenuto. Mai prima. E poi spesso, passata la notizia, ce ne si dimentica. Ricordo che più volte ho dedicato parole, spazio e riflessioni al tema dei cambiamenti climatici (prima) e della crisi climatica (poi). È un tema molto caro non solo a me, ma anche a tutto il Club alpino italiano. Eppure questa narrazione fatta in tempo di pace, decontestualizzata rispetto alle più severe ed estreme manifestazioni, ha spinto più di un lettore a rivolgermi la stessa medesima critica: “Perché insisti tanto con questo clima che cambia?”. Oggi la risposta è del tutto evidente agli occhi di chiunque. Il pianeta è uno solo. E mentre in questa parte di mondo siamo chiamati a fare i conti con la siccità che dimezzerà la produzione agricola e per cui buona parte della Regioni hanno chiesto lo stato d’emergenza, dall’altra parte, negli Stati Uniti, il Parco nazionale di Yellowstone veniva devastato da alluvioni e da un’esondazione senza procedenti. Risultato? Migliaia di turisti evacuati, edifici distrutti, danni ingenti e chiusura del parco per tutta l’estate. Anche in questo caso la responsabilità è stata attribuita alla “crisi climatica”, come se fosse un’entità astratta, terza rispetto a noi, qualcosa d’irraggiungibile, irrisolvibile e immateriale. Sappiamo che la materialità sta tutta nel comportamento della nostra specie, per questa ragione possiamo e dobbiamo intervenire. «Eh, ma se ce lo dicevano prima», continua a sussurrare qualcuno. Per la siccità nel nostro pezzo di mondo in realtà ci avevano già messo in preallarme parecchi mesi fa. Già all’inizio dell’anno, da dicembre 2021 fino a febbraio scorso, rispetto alla media stagionale l’Italia aveva già registrato due segni negativi: meno 80 per cento di pioggia e meno 60 per cento di neve. Abbiamo misurato gli effetti drammatici del riscaldamento globale il 3 luglio scorso con la tragedia della Marmolada. Dopo la tragica slavina provocata dal distacco di una parte della calotta del ghiacciaio (e ancora oggi siamo frastornati, e vicini alle famiglie delle vittime), della faccenda si è interessato mezzo mondo. Forse il mondo intero. Giornalisti nazionali e internazionali hanno voluto raccogliere opinioni e commenti sulla crisi climatica, su come cambia la montagna, su come si rispetta la montagna, su come si può e si potrà vivere la montagna. Dopo la tragedia e dopo i morti, ecco che si alza il livello d’interesse. Non prima, non dopo. Solo durante. Ma per incidere davvero nelle coscienze e per maturare la consapevolezza che può davvero generare il cambiamento, be’, occorre lavorare soprattutto in tempo di pace. Prima che sia davvero troppo tardi. Ecco perché insisto tanto su questi temi.
Peak & Tip, Montagne360 agosto 2022