Di crisi climatica ho scritto spesso su Peak&Tip. Anche prima che si chiamasse “crisi”, quando i più si limitavano ad associare i numerosi effetti imprevisti e imprevedibili di certi eventi estremi al cambiamento climatico. Lo scorso settembre sono tornato sul tema (“Si mobilitano gli scienziati del clima”) e dopo la lettura del mio editoriale ci avete scritto in molti. Tra le lettere ricevute c’è quella di Daniele Capirone, che per sua stessa ammissione è un «escursionista e frequentatore di montagne da circa quarant’anni». Riporto un passaggio significativo della sua lettera: «Poiché questo argomento è sempre più presente su qualsiasi rivista, giornale o notiziario […] sto cercando di capire come posso fare la mia parte. Sarò anche di- stratto, tuttavia non ho ancora letto da nessuna parte proposte pratiche e realistiche per ovviare a questo problema: solo dichiarazioni di intenti, proclami e idee che, da ignorante quale sono, reputo poco realizzabili nella realtà. Intendiamoci, non sono assolutamente contrario ad avere un mondo più pulito, più sostenibile, meno inquinato. Ma come?». Il tema, gentile Daniele, è caro a tutti noi, e lei non sottovaluti il suo livello di conoscenza. Nella sua lettera è evidente come sia ben informato. La consapevolezza fa sorgere domande, spesso legittimamente scomode. Ma proprio ponendo le domande giuste è possibile costruire risposte efficaci. Ritengo che il primo grande obiettivo ancora da raggiungere completamente sia proprio quello della consapevolezza. Le risposte sui grandi temi, poi, non spettano direttamente a noi, ma neppure possiamo immaginare (o pretendere) che vengano solo calate dall’alto. C’è qualcosa che possiamo fare nel nostro quotidiano, qualcosa che è alla nostra portata. La sua lettera mi ha riportato alla mente un articolo che lessi tempo fa su Il Post che riportava il risultato di una serie di interviste realizzate da Annie Lowrey (e pubblicate su Atlantic). Ridurre sprechi energetici e con- sumi, scegliere mezzi di trasporto meno impattanti, prendere meno aerei, ridurre l’uso dell’auto, installare pannelli solari, fare la spesa in modo consapevole sono tra le azioni che rientrano nel cosiddetto“performative environmentalism”, cioè “l’ambientalismo delle azioni quotidiane e individuali”. L’utilità dei comportamenti individuali nel contrasto alla crisi climatica negli ultimi anni è stata ridimensionata da alcuni intellettuali e attivisti che sostengono che solo governi e organizzazioni internazionali possono mettere in campo azioni efficaci. Certamente spetta in primo luogo a loro pianificare e attuare strategie e interventi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Ma noi cosa possiamo fare? Peter Kalmus, scienziato del clima alla Nasa, intervistato da Lowrey sull’Atlantic, afferma che quello sui comportamenti individuali è una specie di «falso dibattito». Se l’impegno e le azioni di ciascuno servissero soltanto a ridurre il proprio contributo in termini di emissioni, allora sarebbero completamente inutili: «ma è soltanto l’un per cento dei motivi per farlo». Di cosa è fatto allora il restante 99 per cento di buoni motivi? Lowrey, riporta Il Post, scrive che a causa della natura umana ci sono comportamenti che iniziano a diffondersi e diventano collettivi senza una ragione logica (ma, aggiungo, spesso di marketing), e cita come esempio l’esplosione di acquisto di Suv. Diversi studi dimostrano però che anche i comporta- menti individuali sostenibili si diffondono, e la loro diffusione potrebbe aiutare i governi – con l’esempio dal basso – a essere più incisivi nel contrasto ai cambia- menti climatici attraverso leggi stringenti. Se ognuno dunque facesse la propria parte, forse faciliteremmo la via a soluzioni globali più incisive. «Il nocciolo del problema, almeno in Italia, sta nella più assoluta indif- ferenza del mondo partitico (politico sarebbe troppo impegnativo) riguardo a detta “crisi”…» ci scrive Ettore Scagliarini, Socio Cai da oltre 55 anni. «Non ho letto che tale argomento fosse al centro di qualsivoglia partito nelle recenti elezioni. Da tempo, emeriti rappresentanti di quel mondo mettono in discussione tale emergenza, scendendo anche… a sbeffeggiamenti di chi asserisce l’esistenza di tale emergenza». Caro Ettore, la politica ha senz’altro delle responsabilità. La sua percezione, tra l’altro, è corretta. A confermarlo è l’analisi di Greenpeace, che insieme all’Osservatorio di Pavia (istituto di ricerca specializzato nell’analisi del- la comunicazione) ha monitorato le dichiarazioni dei principali leader politici durante la campagna elettorale. Risultato? Le loro dichiarazioni durante i telegiornali in merito alla crisi climatica sono appena il 3,8% di quelle rilasciate sull’ambiente e meno dello 0,5% sul totale delle dichiarazioni. C’è ancora molta strada da fare.
Peak & Tip, Montagne360 novembre 2022