
«Il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me». Quando penso ai limiti che l’uomo è disposto a superare pur di raggiungere un metaforico confine ancora inesplorato, per la legge del contrappasso mi tornano alla mente le riflessioni di Kant sulla coscienza dell’esistenza. L’esperienza probabilmente più importante che si vive montagna, così come in grotta e in qualsiasi territorio naturale, è l’esplorazione. Un atto nobile, spesso appagante, utile tanto all’uomo quanto alla conoscenza. Tutte accezioni positive che, come ogni cosa, hanno il loro risvolto. Esplorare un nuovo territorio, andare alla ricerca di nuove conoscenze, magari con l’obiettivo di raccogliere dati da analizzare e restituire alla comunità (non solo scientifica), non autorizzano a trascurare il problema degli equilibri naturali di habitat che, viceversa, meritano di essere rispettati. E questo è un aspetto. Ho anche l’impressione che oggi il racconto del proprio gesto sovente sia ritenuto da chi lo compie più importante del racconto del mondo esplorato. L’esplorazione o l’impresa sembrano sempre più funzione del marketing di se stessi. Non so se questa è solo una mia sensazione, se sono l’unico ad avvertirla. Forse, se questo atteggiamento è vero, vedo anche una connessione con il fatto di tralasciare di porsi il problema del rispetto dell’habitat naturale. Voglio chiarire fin da subito la mia posizione: non mi sto schierando contro l’esplorazione o la ricerca, tutt’altro. Bensì mi interrogo su un atteggiamento che non si pone la questione dei limiti etici dell’esplorazione e della ricerca. La conoscenza, si sa, è preziosa. Rappresenta un valore. Senza la ricerca non ci sarebbe la conoscenza, senza la conoscenza non ci sarebbe la storia, senza la storia non ci sarebbe identità. «Tutto ha un prezzo», potrebbe pensare qualcuno. E invece no. La risposta è no quando il prezzo da pagare è sinonimo di distruzione. Di esempi negativi, negli ultimi due secoli, ce ne sono in abbondanza. Questo tema non è nuovo ma, purtroppo, è necessario non abbassare l’attenzione. Perché mai come ora questioni come il rispetto e l’etica assumono significati rilevanti. Soprattutto se rapportati ai contemporanei desideri di un turismo sempre più diffuso e aggressivo, di un’economia che pur di monetizzare è disposta a trascurare la sostenibilità, di una passione che non è più tale quando si trasforma in morboso voyeurismo e marketing di se stessi, che spinge a superare qualsiasi limite – costi quel che costi – soprattutto per dare corpo a una narrazione più adatta a una story di Instagram che a una cronaca scientifica o alpinistica. Per spiegare meglio il mio punto di vista, prendo in prestito la citazione che Carlo Alberto Pinelli – alpinista, regista e fondatore di Mountain Wilderness – ha condiviso col pubblico di Casola Valsenio in provincia di Ravenna, in occasione del raduno internazionale di speleologia che, con grande capacità visionaria, portava in sorte il titolo “Nuvole”. Pinelli, parlando delle reazioni che nell’Ottocento furono suscitate dall’apertura del primo rifugio sul Monte Bianco, ha ricordato alcune significative parole scritte da un noto alpinista britannico. «Simili edifici, grazie ai quali una curiosità banale può comodamente giungere ad ammirare scenari grandiosi, tradiscono il loro scopo. Sappiatelo. Se le comodità fanno due passi avanti verso il pittoresco, il pittoresco si ritira d’altrettanti passi». Secondo Pinelli sarebbe sufficiente sostituire “pittoresco” con un più moderno “paesaggio naturale” per attualizzare questo pensiero a circa un secolo e mezzo di distanza. Certo, sembra una considerazione fuori dal tempo. Parole che sono però portatrici di una grande e immutata verità: è proprio la prospettiva (qualcuno la definirebbe “sensibilità”) che oggi sembra mancare, così concentrati sul raggiungimento di obiettivi immediati. Tutto e subito, sempre, in barba alle conseguenze. Solo facendo ciascuno i conti con la coscienza delle proprie azioni si potrà davvero essere espressione della cultura dell’esplorazione e della montagna, messa a rischio da un atteggiamento irrispettoso. Dopo il nostro passaggio, ogni paesaggio – esposto alla luce o sotterraneo – se non esattamente, deve restare il più possibile così com’era.
Peak & Tip, Montagne360 dicembre 2018