Quando penso al significato della parola crisi penso a “scelta” e “momento cruciale”. Il primo deriva dal greco krisis scelta, da krino distinguere, il secondo dal cinese (questa è la proposta di Alessandra Vita, traduttrice e interprete). Viviamo un momento cruciale: ambientale ed economico. Per questa ragione dobbiamo fare delle
scelte. Sono ben impresse nella nostra mente la recente svolta epocale del presidente Obama in tema di clima e l’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco. In questo “momento cruciale” la rete sentieristica deve diventare sempre più strumento del turismo sostenibile, di tutela delle terre alte scrigno di biodiversità, e di lotta al cambiamento climatico. Il valore dei sentieri è elevato, sia per lo sviluppo economico di un territorio e di un paese, sia per il contributo alla salvaguardia del pianeta. A mio modo di vedere, il compito del CAI è di contribuire a far sì che questo valore venga compreso sino a farlo diventare un tassello delle strategie dell’avvenire, che è il futuro progettato, del nostro Paese. I vertici del Sodalizio sono impegnati, insieme alle altre grandi Associazioni di protezione ambientale, a portare nei luoghi di elaborazione e decisione della politica nazionale questo messaggio urgente. Alla stessa stregua tutto il CAI è impegnato sul livello territoriale. Di questi argomenti ne ho parlato nell’editoriale del numero di agosto di M360 a proposito della lotta al cambiamento climatico e vorrei qui riprenderli da un’altra angolazione per stimolare una riflessione su un aspetto della valorizzazione della rete sentieristica (e della montagna). La parola crisi nel suo significato di scelta impone una nuovo modello di sviluppo turistico della montagna. Per far sì che la rete sentieristica da valore teorico di sviluppo diventi asset strategico occorre agire su più fronti. Numerosi sono gli incontri e i momenti di riflessione per capire cosa fare nel concreto partendo dalle buone prassi. Per citarne uno l’incontro di luglio a Bormio organizzato dal CAI, di cui abbiamo dato conto su «Lo Scarpone». In questo periodo vi sono stati e vi saranno altri momenti d’incontro su questi temi, come quello organizzato dal Parco Nazionale della Sila a fine agosto, quello a cura dei GR CAI Abruzzo, Campania, Lazio, Marche, Molise e Umbria a Amatrice e TreviNatura della Regione Umbria, questi ultimi a settembre. Come ho affermato nel mio intervento al convegno di Bormio, per supportare questo cambiamento il CAI deve mettere in gioco anche una nuova narrazione delle terre alte e dell’offerta turistica. Ovvero lavorare per produrre un cambio di percezione. Sappiamo che “l’estremo spettacolare” è al centro dello storytelling di una idea di frequentazione e di sviluppo della montagna che non ci piace. Una dea di sviluppo figlia di una visione basata sul “divertimentificio” e “immaginario dell’estremo”. Una frequentazione della montagna che da più parti è stata proposta come prodotto turistico di divertimento adrenalinico. In questo momento cruciale dobbiamo fare anche noi un salto. In primo luogo non dobbiamo avere paura della parola “prodotto”. Esistono dei buoni prodotti. La rete sentieristica è una infrastruttura e un prodotto. Come infrastruttura è al servizio di un buon prodotto: l’escursionismo. È prodotto quando si trasforma in proposta organizzata, per esempio un percorso come “Il Cammino delle Dolomiti” che è stato premiato nel 2009 dalla Convenzione delle Alpi come miglior prodotto di turismo sostenibile. Credo che sia utile raccontare la rete sentieristica come forte prodotto turistico tout court e non come “accessorio” di un territorio. Un prodotto che non ingabbia nei ritmi quotidiani i tempi obbligati, che aiuta l’ambiente, e che a bene alla salute. Non dobbiamo inoltre avere paura né demonizzare la parola “estremo”. Può apparire una provocazione? Forse. Quello che vorrei dire è che dovremmo impegnarci in una narrazione dell’estremo consapevole, che scardini la percezione che in montagna l’estremo è il no limits spettacolarizzato. Quest’ultimo è un finto stremo, è una proposta turistica di consumo picciolo d’emozioni altrui, che pochi turisti della montagna potrebbero vivere. Il primo, quello consapevole, è viaggio d’emozione, è la proposta culturale del limite che è la sola che fa vivere e aprire il proprio personale “estremo”. E allora la montagna diventa il luogo dell’emozione quieta di quella estrema, viaggio culturale e viaggio della bellezza attraverso un mix di panorama e paesaggio. Un “prodotto” a cui è più difficile resistere. Che ne pensate?
Peak & Tip, Montagne360 settembre 2015