Da qualche anno mi capita di organizzare delle uscite in montagna. Di solito il nostro gruppo è formato da un numero variabile, più o meno da quattro a sei persone. La più giovane di noi ha 27 anni. Quindi sì, siamo un gruppo di ragazze. In montagna, da sole. Fino a qui nessun problema”. Queste sono le parole di Silvia, una giovane donna che insieme alle amiche frequenta con assiduità le montagne. Silvia ha deciso di prendere in mano carta e penna (si fa per dire) e di scriverci per parlare a tutti noi di una questione che “è ben lontana dall’essere considerata – anche lontanamente – al passo coi tempi”. E ci chiede di farci tramite per lanciare un appello, richiesta che non esitiamo ad accogliere. Nella sua lettera (firmata) racconta che “sistematicamente, a ogni uscita” il loro gruppo di donne è oggetto di battute e apprezzamenti sgraditi, sia nei rifugi sia lungo il cammino. Silvia ha deciso di condividere con noi un piccolo campionario delle espressioni più frequenti: “Oh, siete un gruppo di sole ragazze? (e in genere questa domanda retorica è accompagnata da sguardi increduli); Dove li avete lasciati i vostri ragazzi? Vi fanno andare da sole?; Ma cosa dicono i vostri ragazzi del fatto che siete in montagna da sole?”. Da qualche tempo hanno registrato anche alcune variazione sul tema. Infatti si sono aggiunte al campionario classico: “Ma se ci chiamano i vostri ragazzi cosa dobbiamo dirgli? Eh? (e di solito segue l’occhiolino); e infine, parlando di un trekking impegnativo ma fattibile, ci siamo sentite dire: “Ma se ce la fate a salire, domani…”. Silvia scrive – come non essere d’accordo con lei? – che sono “onestamente stanche” di queste “battute” che si ripetono con frequenza. Sì, quando loro fanno notare che le affermazioni non sono gradite, è quello il sostantivo utilizzato da chi controbatte: “sono solo battute”. Attraverso Montagne360, la nostra lettrice vuole comunicare con i frequentatori della montagna (il maschile non sta a indicare il plurale, ma il genere): “Evitate di dare questo tipo di confidenza e di formulare domande e frasi collocabili temporalmente nel 1951. Con questo appello vi chiediamo solo rispetto: non fateci credere che sia un evento raro e unico che delle ragazze vadano in montagna, facendo percorsi da 25 chilometri con mille e passa metri di dislivello. Ma soprattutto, non tradite il fatto che siete i primi a pensare che non ne siano capaci o chissà che altro”. Da uomo, e da amante della montagna, vi confesso che nel leggere la lettera ho provato la stessa (o molto simile) “stanchezza” di Silvia. La mia deriva dalla consapevolezza che quei comportamenti, quelle espressioni, quella svaluazione delle abilità e quell’abuso di confidenza non siano giustificabili in alcun modo. E nascondersi dietro l’affermazione che si tratta di una “battuta” ha il fiato davvero corto, perché, lo sappiamo, questo tipo di battute nascono da stereotipi e sono lo specchio del sessismo. E sappiamo anche che il linguaggio può essere un virus. I valori del Cai e la pratica della montagna ci insegnano a non limitarci a uno sguardo superficiale, a porci domande e a rispettare ambiente e persone. E a non discriminare. Da questo punto di vista il nostro Sodalizio è impegnato su tanti fronti. Pensiamo solo all’attenzione verso la montagna inclusiva e il lavoro che tanti Soci e Socie realizzano attraverso la montagnaterapia. Ma non solo. Leggendo la lettera mi sono ricordato di “Libere in vetta”, una bella iniziativa ideata e portata avanti da un gruppo di giovani Socie lombarde contro ogni forma di violenza sulle donne e contro il sessismo. Ma anche le difficoltà che la guida alpina Anna Torretta incontra nel suo ambiente professionale, come ci ha raccontato l’8 marzo scorso, durante l’incontro “Donne e montagna, variazioni sul tema” in diretta sui canali social del Cai (potete ascoltarlo sul canale YouTube del Sodalizio), e il progetto, Sentiero Italia CAI “La montagna al femminile”, con cui si è celebrata la settimana dall’8 al 14 marzo scorso, tutta dedicata alle donne. Mi sono tornate alla mente anche le parole di Maria Reggio, alpinista centenaria che ho intervistato per Montagne360 solo pochi mesi fa. Le domandai che cosa avesse significato, per lei, essere donna in un gruppo di uomini. «Sono sempre stati rispettosi» mi disse. «Però mi sono accorta di una cosa: quando c’era da scattare una fotografia in vetta, loro mi si mettevano sempre davanti e io scomparivo. In quelle immagini non mi si vede mai». Dall’esperienza di Maria alle parole di Silvia è passato ben più di mezzo secolo. Molto è cambiato, ma tanto resta ancora da fare. Amici uomini, diciamolo con franchezza: spetta soprattutto a noi impegnarci a fondo per completare quel salto culturale che, superando il sessismo, ci renderà partecipi di un’effettiva civiltà priva di ogni discriminazione.
Peak & Tip, Montagne360 ottobre 2021